Homo sapiens. Questa è la definizione che ci siamo orgogliosamente assegnati, suggerendo che siamo esseri di saggezza superiore. Ma chi ha stabilito questo criterio di superiorità? L’antropocentrismo, quel medesimo principio che ci ha portato a pensare di essere al centro dell’universo, a dominare la natura e le altre creature. Eppure, ciò che ci distingue veramente come specie non è la nostra capacità di razionalizzare, ma piuttosto di empatizzare. Ma quanta vera empatia possediamo ancora oggi?
Guardiamo il panorama attuale: una società globalizzata in cui le notizie di sofferenza vengono assorbite quotidianamente, eppure sembra che quanto più ci si allontani geograficamente o culturalmente dalla fonte di tale sofferenza, tanto più essa diventa astratta, quasi irreale. I drammi di un continente distante diventano semplici titoli sui giornali, mentre le tragedie della porta accanto scuotono l’anima.
Siamo veramente fatti di pura chimica? Di neuroni specchio che ci fanno immedesimare nella sofferenza altrui solo quando essa è vicina, palpabile? Se fosse così, allora forse l’Homo sapiens è solo una patetica illusione. Forse siamo solo animali avanzati, legati a un istinto tribale che ci fa reagire solo quando la minaccia o la sofferenza è a portata di mano.
C’è qualcosa di più profondo in noi. Qualcosa che sfida questa riduttiva interpretazione. Possiamo, infatti, percepire la sofferenza anche senza stimoli diretti. Possiamo piangere leggendo un libro, o sentendoci coinvolti in una storia che non abbiamo vissuto direttamente. Questo potere di empatia trascendentale ci differenzia. Eppure, quanti di noi lo esercitano veramente?
In un’era dominata dalla tecnologia e dall’individualismo, sembra che la nostra coscienza collettiva sia stata sostituita da una serie di bolle isolazioniste. Il concetto di tribù si è evoluto, sì, ma forse non nella direzione giusta. La nostra “tribù” moderna è fatta di “mi piace”, di reti virtuali, di eco camere che riecheggiano solo ciò che già crediamo.
Il vero interrogativo che dobbiamo porci è: siamo davvero “sapiens”? Stiamo veramente evolvendo come specie, o ci stiamo ingannando con una sorta di narcisismo collettivo, pensando di essere al centro di tutto e rifiutando di vedere oltre?
La vera evoluzione, il vero passo avanti per l’Homo sapiens, sarà quando riusciremo a rompere queste barriere auto-imposte e a riconoscere la sofferenza e la gioia dell’altro come nostra, indipendentemente da dove provenga. Solo allora potremo veramente dire di essere una specie sapiente.
Sauro Tronconi