Le acque del Grande Fiume possono donare molte ricchezze. Ogni uomo può da esso sfamarsi e coltivare la terra, e il giorno dopo ancora sfamarsi e coltivare la terra, e così anche il giorno dopo e quello dopo ancora. Ma se l’uomo cerca di accumulare troppo pesce e troppe acque, ambedue marciranno e a lui non resterà altro da fare che andare comunque ogni giorno a prendere il cibo e l’acqua, ricorda, o mio Re.
Sulle rive del Grande Fiume, viveva un bimbo di nome Tunab. Era un bimbo, a dire delle persone, nato sfortunato perché, pur di belle sembianze, bell’aspetto, intelligenza viva, era nato in una famiglia ove il padre era uomo egoista e avido, il cui comportamento rasentava la follia, e la madre, una povera donna, nulla faceva per cambiare la situazione. E così Tunab crebbe con un padre che a volte lo picchiava, lo malediva, gli parlava sempre come avrebbe parlato all’ultima delle sue bestie e faceva di tutto per farlo sentire uno stupido incapace, privo della volontà di cambiare le cose, togliendogli anche la gioia di giocare coi ciottoli sulle rive del Grande Fiume. E anche la madre in nulla aiutò il bimbo, essendo succube del marito e intimorita dall’idea di abbandonare la famiglia, quasi assecondava il padre agli occhi del figlio. E così Tunab crebbe in solitudine; isolato dagli altri bambini, a cui si sentiva in parte inferiore e in parte superiore, isolato dagli altri adulti ai quali mai avrebbe confessato quello che tormentava il suo animo. Crebbe fino al dodicesimo anno cercando di allontanarsi da casa appena la voce di suo padre tuonava alle sue spalle, rifugiandosi a giocare sulla riva del fiume con gli insetti, coi ciottoli e guardando immagini che un anziano del villaggio disegnava sulle pergamene.
Il tempo passò, Tunab crebbe e divenne un giovane fanciullo acuto, intelligente e con una luce speciale negli occhi, gli altri potevano ben vedere che questo giovane aveva in sé qualcosa di speciale; l’unico che di questo non si accorgeva era Tunab, che passava e adoprava le sue giornate a mostrare e a cercare di mostrare alle persone che incontrava ciò che egli valeva davvero. Ma nel mostrare questo, egli troppo spesso offuscava quella luce chiara che era in fondo ai suoi occhi. Ancora tempo passò e Tunab conobbe donne che voleva sempre più belle per mostrare a tutti ciò che lui poteva avere. Andò via dal suo paese, dal paese in cui era nato, e cercò lavoro e non ritornò al paese finché il lavoro che ebbe non fu un lavoro che lo rendeva un uomo potente. E il tempo ancora passò, nulla a lui mancava, né il denaro, né fare ciò che veramente desiderava, né avere compagnie femminili di belle fattezze, ma qualcosa dentro rodeva continuamente Tunab, nulla era veramente e perfettamente bello, veramente importante, nemmeno l’apparire agli altri era più importante; solo quest’ombra che suo padre aveva calato sulla sua fronte non si sollevava mai.
Egli disperatamente continuò a cercare, continuò a cercare acqua pura a cui attingere, e continuò e trovò acqua e ne lasciò altra, sino a che un giorno arrivò ad una grande, grande fonte, una fonte di acqua limpida. Una vecchia era seduta sul bordo della fonte ed egli disse alla vecchia: “Sono qui per trovare l’acqua più limpida che esista e la vecchia disse: “Quest’acqua è limpida” e Tunab gli rispose: “Certo, la vedo, ma io cerco quella ancora più limpida.” La vecchia, ancora tranquillamente seduta sul ciglio della fonte, semplicemente, sorrise. E così Tunab continuò la sua ricerca, continuò e continuò e continuò la sua ricerca dell’acqua sempre più pura e si allontanò dal villaggio, e si allontanò da casa e perse ricchezze, potere e anche la capacità di trovare la via del ritorno.
Un giorno seduto ai bordi di un’altra fonte di acqua molto più torbida di altre che aveva visto, trovò la stessa vecchia. Appena la degnò di uno sguardo e si vide nelle acque, triste, piangente, spossato, si accasciò sul gradino della fonte e disse: “Non troverò mai quest’acqua pura, non sono stato in grado di cogliere e trovare l’acqua più pura che esista”. La vecchia, prese fra le mani una manciata d’acqua, la porse alla bocca di Tunab e gli disse: “Bevi!” Tunab la bevve e si sentì rinfrescato, e la vecchia gli disse: “Che vai cercando? Ogni fonte può dissetarti, basta che tu nella fonte possa cogliere l’acqua giusta” e in quel momento Tunab, vedendo la vecchia che ancora sorrideva, si alzò, andò sulle acque della fonte, vi si specchiò dentro e vide dietro di sé l’ombra di suo padre, l’ombra di sua madre che pian piano si allontanavano e svanivano, la sua fronte che tornava distesa e la luce nei suoi occhi che stava tornando. Anche l’acqua, che continuava a zampillare dalla roccia, era più trasparente e stava ripulendo tutta la fonte. Abbracciò la vecchia al bordo della fonte e piano, piano, ritrovò la strada del ritorno.
Ricorda, o mio Re, non può un’ombra del passato essere il rumore del tuo presente; ricorda che non puoi cercare un’acqua sempre più limpida, la cosa importante è che quest’acqua tolga a te la sete; non puoi cercare di dimostrare a te stesso e agli altri qualcosa, quando c’è tanto rumore nella tua testa, perché prima ancora di avere una cosa trovata, tu già un’altra vai cercando. Bàgnati nelle acque, allontana le ombre, apri il tuo cuore, e a quel punto l’acqua della fonte sarà la più limpida e la più pura che esiste. Ricorda, o mio Re.