In primo luogo quindi era diventato impossibile non accorgersi che la guerra volgeva alla fine e che essa vi arrivava da sola, per una stanchezza estrema e anche per una comprensione oscura, ma profondamente radicata, dell’assurdità di tutto quell’orrore. Nessuno ora poteva più credere alle parole e nessun tentativo per galvanizzare la guerra avrebbe potuto andare a buon fine. Tuttavia, era altrettanto impossibile fermarla e tutte le chiacchiere pro o contro la guerra non mostravano altro che l’incapacità dello spirito umano a realizzare persino la propria incapacità. In secondo luogo, era chiaro che la catastrofe si stava avvicinando e non avrebbe potuto essere evitata in nessun caso. Gli avvenimenti seguivano il loro corso e non potevano seguirne nessun altro. Ero molto colpito in quel periodo dall’atteggiamento degli uomini politici di sinistra, che, passivi sino a quel momento, si disponevano ora ad assumere una parte attiva. In effetti, essi si mostravano i meno preparati, i più ciechi, i più incapaci di comprendere ciò che facevano, dove andavano, e ciò che preparavano, soprattutto per sé stessi. Mi ricordo così bene di Pietroburgo durante il suo ultimo inverno di vita! Chi avrebbe potuto prevedere allora, anche supponendo il peggio, che quello sarebbe stato il suo ultimo inverno? Ma troppe persone odiavano quella città, troppe la temevano. I suoi giorni erano contati. Le nostre riunioni continuavano. Durante gli ultimi mesi del 1916, Gurdjieff non venne più a Pietroburgo, ma alcuni di noi andavano a Mosca, da dove riportavano nuovi diagrammi e note prese dai suoi allievi. Molta gente nuova veniva ai nostri gruppi, e l’insegnamento di G., nonostante fosse evidente che tutto stava precipitando verso una fine oscura, ma fatale, comunicava a tutti un sentimento di fiducia e di sicurezza. Parlavamo sovente allora di quello che avremmo provato in quel caos se non avessimo avuto l’insegnamento, che diventava sempre più nostro. Tuttavia, non ci era più possibile immaginarci come avremmo potuto vivere senza di esso e trovare la nostra via nel labirinto delle infinite contraddizioni di quel tempo. A quel periodo risalgono le nostre prime conversazioni sull’arca di Noè. Avevo sempre considerato questo mito come una allegoria dell’idea generale di esoterismo, ora cominciavamo tutti a vedere che aveva un altro significato più preciso: era pure il piano di ogni lavoro esoterico, il nostro incluso. L’insegnamento stesso era un’arca, grazie alla quale noi potevamo sperare di salvarci al momento del diluvio.
Petr D. Ouspensky. Alla ricerca del miracoloso.