Una via consapevole per l’evoluzione
Non c’è bisogno di essere specialisti per intervenire in maniera efficace su di sè e su gli altri e trovare una strada semplice per migliorare la salute e raggiungere il benessere psico-fisico.
Questo libro lo dimostra, unendo la sapienza delle antiche Medicine Orientali con le più recenti scoperte della psiconeuro-immunologia.
Si tratta di un forte contributo ad una visione scentifica più ampia e divulgativa, realizzata in modo da dare una opportunità al lettore di cambiare punto di vista e prendere piena consapevolezza del proprio corpo utilizzando al meglio quello che la natura ci ha dato pper combattere e vincere le grandi malattie di questo secolo.
Leggete questo libro con semplicità, come se fosse un gioco e lasciate che la vostra mente percorra liberamente i labirinti creati ad arte dall’autore, per farla smarrire. Non si tratta di credere , ma di aprire volontariamente la propria coscienza alla ricerca di una via di evoluzione interiore e di consapevolezza di sé.
REIKI-DO è la porta su una disciplina antica, volta al fluire dell’energia vitale e alla comprensione delle armonie che regolano la natura e l’universo.
E’ l’uomo l’artefice del proprio destino: non esiste energia positiva o negativa, ma semplicemente energia, non c’è il male ma solo l’inconsapevolezza, non la morte, ma soltanto il cambiamento.
Scritto in uno stile scorrevole e discorsivo, REIKI-DO consente a tutti di avvicinarsi alla grande trasmissione orale del sapere che non è conoscenza, ma comprensione.
Illustrazioni chiare descrivono i passaggi delle tecniche di prevenzione e cura che caratterizzano il REIKI-DO di primo livello, rendendo questo volume lo strumento di accesso indispensabile per chiunque voglia approfondire questa antica disciplina.
Prima ed. 1995 Castelvecchi, quarta ed. EDUP, Roma 2001, disponibile in libreria oppure nel sito dell’editore.
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Medicina olistica
Il modello culturale occidentale è basato sulla divisione, la segmentazione, la specializzazione. Il risultato di oltre 2000 anni di storia è che l’uomo moderno ha perso il contatto con se stesso e con l’ambiente che lo circonda. Si è così venuta a creare una situazione paradossale nella quale abbiamo perso il senso dell’unità e il non aver coscienza della nostra unità psico-fisica ci crea non pochi problemi. In oriente, la visione dell’uomo e di conseguenza della medicina, segue il percorso dell’osservazione della totalità dell’uomo stesso. E’ ormai accertato che il rapporto corpo-mente è inscindibile, così come fa parte di noi il sistema energetico interno ed esterno. Tutti questi sistemi sono in diretta correlazione tra di loro e producono un processo omeostatico completo che ci permette di vivere. Da anni ci siamo resi conto che la medicina ufficiale sta perdendo di vista l’uomo in quanto tale. La ricerca moderna smembra, seziona, analizza sempre più perfettamente i dettagli perdendo di vista la globalità. Abbiamo lo specialista di questo o quell’organo, ma non sono pochi quelli che rimpiangono il buon medico generico di famiglia. Si cura l’organo e si dimentica l’individuo, si osserva il sintomo e non si considera che la malattia è un segnale generale di un problema che si svolge contemporaneamente a più livelli. Anche Ippocrate, che segnò l’era della separazione tra religione e medicina diceva: “Il primo grande medico è la natura (natura sanatrix).” Si diceva, con grande saggezza, nelle scuole mediche dell’antichità, che l’uomo ha in sé i mezzi per evitare che la malattia lo colpisca, il grande segreto non sta nel metodo farmacologico, ma nel far scattare al momento giusto le difese immunitarie. Nella visione occidentale la frattura si è fatta sempre più profonda stabilendo (con Cartesio) che l’essere umano è composto di due elementi che per principio non interagiscono: la coscienza o anima e il corpo. E pensare che nell’antichità, si usavano metodi straordinari, come, ad esempio, l’incubazione; si metteva l’ammalato all’interno di un recinto sacro e con tecniche probabilmente ipnotiche, lo si induceva ad un sonno profondo. Spesso era proprio il paziente, tramite il sogno, ad indicare al medico la strada per curarlo. Ci sono state, alcuni anni fa in Texas, ricerche in questo senso. I ricercatori avevano elaborato una tabella dei sogni D.F.D. (disease foretelling dreams), i sogni che presagiscono la malattia. In tutta l’antichità troviamo numerosi medici sensitivi che diagnosticavano la malattia e ne prescrivevano la cura osservando l’uomo nel suo insieme totale energetico (fisico, emozionale, mentale, spirituale). La materia è composta da energia. L’energia compone il corpo umano con un insieme di campi e particelle che interagiscono sino ad arrivare ad un sistema grossolano, identificato dalla medicina orientale come un sistema di nervature, canali, reti, che trasportano energia e informazioni e creano continue connessioni energetiche fra i sistemi, partendo dall’energia più sottile, fino ad arrivare a quella che noi comunemente definiamo materia. I punti basilari di questo sistema, ricettori, trasformatori, scambiatori, sono i chakra e i punti dell’agopuntura. La medicina cinese è basata sull’equilibrio delle polarità yin e yang (la connessione con i poli negativo e positivo dell’energia è evidente). Nel corpo umano ogni malattia è vista come rottura di questo equilibrio. Questo equilibrio è mantenuto da un flusso continuo di “ch’i” o energia vitale, che passa lungo quelle reti energetiche chiamate “meridiani”, che con tengono i punti di sollecitazione dell’agopuntura. A ogni organo è associato un meridiano, in modo tale che i meridiani yang appartengono a organi yin e viceversa. Ogni volta che avviene un ricarico energetico o una carenza di un elemento o dell’altro, il corpo si ammala e la malattia viene curata inserendo alcuni aghi nei punti di sollecitazione, per stimolare o ristabilire equilibrio nel flusso energetico. L’agopuntura viene praticata, oramai, anche nelle strutture ospedaliere occidentali. (Attenzione che sia un medico a piantarvi addosso gli aghi). E’ una pratica estremamente complessa che a mio avviso deve essere compresa sino in fondo con i connotati culturali della filosofia del Tao. Per questo diffido di come viene praticata in occidente, con le dovute eccezioni di quei medici “sensitivi” che sono parecchi e molto bravi. Pensate a come si sentirebbe ridicolo un medico occidentale, avvezzo a non guardare neanche in faccia il suo paziente, abituato sempre più all’alta tecnologia medica, sicuro nell’affidarsi a macchine sofisticate per gli esami ematici, ad indagini come la TAC, la PET, la NMR, a terapie farmacologiche sofisticate, se si trovasse a confronto con un medico tibetano che fa diagnosi complicatissime sentendo i vari “polsi” del paziente, guardandogli le unghie o l’iride degli occhi. Un medico tibetano studia gli elementi e le energie che formano l’uomo e l’Universo, riconosce il mutare delle stagioni e dei ritmi naturali, studia il canto degli uccelli e le costellazioni del cielo per capire il cambiamento che sta avvenendo sulla terra e diviene un sensitivo. La medicina tibetana ha legami molto profondi con la filosofia buddhista. Secondo il Buddhismo, l’essere umano è un complesso olistico interdipendente; esso viene visto come l’insieme di cinque elementi in costante mutamento: corpo, sensazioni, percezioni, impulsi e coscienza. Ed è proprio la coscienza l’elemento principale accentrante, che, attraverso la sua evoluzione e sostenuta dai depositi inconsci delle azioni passate, trasmigra da un’esistenza all’altra, quando il corpo muore. Il medico tibetano, chiamato “Menpa” o “Emchi”(uomo dei medicamenti), vede l’essere umano come un aggregato di questo cinque elementi, in tutti i suoi aspetti, dal più grossolano al più sottile. Osserva l’uomo attraverso due modelli di costituenti: i sette tessuti corporei (chilo, sangue, carne, grasso, ossa, midollo, liquido riproduttivo) e i loro residui (feci, urina, sudore), su questa base, il “menpa” osserva le principali funzioni fisiologiche basandosi sull’equilibrio dei tre umori: Vento o pneuma (Respiro), bile (accumulo nella cistifellea), flemma (secrezioni mucose dello stomaco). Se questi tre umori rimangono in equilibrio, l’individuo sarà longevo ed in buona salute. Riservo una particolare attenzione alla Medicina Tibetana, perché, probabilmente, è una delle sintesi più originali di varie antiche medicine. Alcune fonti fanno risalire l’origine della Medicina Tibetana alla religione Bon, di parecchi secoli antecedente al Buddhismo, dando poi al Re Songtsen Gampo, durante la prima metà del settimo secolo, il merito di aver raccolto i testi più rappresentativi di medicina dall’India, dalla Cina. dall’Iran, dal Nepal, ecc… e di averne curato una sintesi tradotta in tibetano. Una curiosità: nei documenti storici dell’epoca, il medico che portò i testi dai paesi bizantini attraverso l’Iran è chiamato Ga – le – nos, ovviamente come riferimento a Galeno (medico greco del secondo secolo). Il Tibet, grazie alla sua inaccessibilità geografica, ha mantenuto intatte delle conoscenze straordinarie sino all’epoca moderna che, purtroppo, ne ha segnato la sorte che gli era stata risparmiata per migliaia di anni, distruggendo così una cultura veramente notevole. Innumerevoli influenze straniere hanno formato la medicina tibetana, come è arrivata sino a noi, ma fondamentale è l’influenza della medicina cinese e di quella indiana, vi sono testi base della medicina Ayurvedica contesi sia dalla tradizione buddhista tibetana che da quella indù. Come vi dicevo all’inizio, la Medicina Tibetana si è fusa strettamente con il Buddhismo nell’ottavo secolo circa, quando Padmasambhava, glorificato come un secondo Buddha, introdusse in Tibet il culto del Buddha della medicina, Bhaisajyaguru, assieme al testo fondamentale della medicina tibetana, “I Quattro Tantra”, testo usato ancora ai nostri giorni e indicato, per secoli, come base di insegnamento al medico. I “Quattro Tantra” (Tantra di istruzioni segrete sugli otto rami, l’essenza dell’elisir dell’immortalità) è il testo fondamentale della Medicina Tibetana, arricchito, nel corso dei secoli, da influenze straniere e da trattati di ricercatori tibetani. Questa conoscenza tecnica era trasmessa assieme all’insegnamento dei testi di natura religiosa e rituale. Non era pensabile che un medico non fosse anche un religioso, nel senso profondo del termine. Secondo il Reggente Sangye Gyamtso, che nel diciassettesimo secolo diede una forma canonica a diversi testi fondamentali, “I Quattro Tantra” risalgono all 889 a.C. e provengono dal nord-ovest dell’India, direttamente dal Buddha Sakyamuni, ma sono stati tradotti in tibetano molto più tardi, nell’ottavo secolo. Sarebbe fondamentale, da parte dell’occidente, uno studio più approfondito di queste medicine, e soprattutto di quella tibetana, che, per alcuni versi, ha mantenuto intatte sino a noi le basi di antichissime conoscenze. Non confondete il rilievo che ho prestato, in questo capitolo, alle medicine orientali, con le mode ora in voga sulle medicine alternative. E’ importante non farsi trascinare dalle mode quando si tratta della salute, vi sono cose straordinarie anche nella nostra medicina ufficiale che hanno salvato milioni di vite umane e quindi scartare tutto a priori è solo pura follia. E’ auspicabile un incontro, una fusione delle medicine; molti medici occidentali, negli ultimi anni, stanno cambiando tendenza, vi sono speranze importanti per il futuro verso la via del ritorno al concetto antico di Medicina Globale o Medicina Olistica. Uno straordinario personaggio, Alexander Lowen, il creatore della bioenergetica, psicoanalista, allievo di Reich, parla così della medicina occidentale: “La concezione che i processi mentali rientrino in un dato campo, la psicologia, e quelli fisici in un altro, la medicina organica, nega la fondamentale unità o interezza dell’individuo. Questa concezione è la conseguenza dell’aver dissociato dal corpo lo spirito, limitandolo alla sola mente: una dissociazione che ha evirato la psichiatria e sterilizzato la medicina.” E ancora: “Una visione olistica dell’organismo, riconoscerebbe che il corpo è impregnato di uno spirito che è attivato dalla sua psiche e si prende cura delle sue azioni. “Una visione olistica dell’uomo, ce lo propone nella sua totalità fisico, mentale, emozionale, spirituale. Ed è sulla parte spirituale che, ovviamente, abbiamo il più grosso disconoscimento da parte della scienza occidentale. Il pensiero religioso culturale orientale ha come base l’associazione tra spiritualità e concezione energetica del corpo. Il pensiero occidentale valuta l’energia principalmente in termini meccanicistici, misurabili. Allo stato attuale delle ricerche, nessuno strumento è in grado di rilevare “lo spirito” o, come lo chiama nel XIX secolo Henri Bergson, “élan vital” e quindi, per la scienza occidentale, non esiste. Grazie alla psicanalisi, con Freud e poi con Reich, si trovò e si dimostrò il nesso tra psiche e soma, avvalendosi del concetto di energia.
Il concetto di visione olistica psicosomatica
Prima di tutto restituiamo la psiche al corpo (soma). Recita il dizionario, psiche: complesso delle funzioni psicologiche, principio vitale che attiva le fonti interiori dell’azione e dello sviluppo. In greco significa anima e la sua radice etimologica significa soffiare. Freud ha per primo compreso questa connessione tramite una malattia fisica, l’isteria. Egli mostrò come questa fosse provocata dallo spostamento, sul piano fisico, di un conflitto psichico originato da una precoce esperienza sessuale traumatica. Ma poi non riuscì assolutamente a capire come avvenisse tale spostamento. Fu Reich a capire il meccanismo rendendosi conto appieno dei due livelli psichico e somatico, comprendendo che il conflitto (Gurdjeff lo chiamerebbe “attrito”) genera il processo energetico. Di nuovo il concetto orientale di equilibrio, contrapposizione che genera unità inscindibile. Freud, da buon represso, aveva di nuovo allargato la scissione tra mente e corpo, con il concetto di energia operante nel corpo, l’energia sessuale, dandogli il nome di “libido”. Prima cercò di dimostrare che la “libido” era generata dal corpo, e poi, non avendo prove di questo, la definì l’energia mentale della pulsione sessuale; gli mancava sicuramente la comprensione esperienziale, come direbbe Lowen. Reich, con esperienze legate alle tensioni elettriche sulla cute in zone erogene del corpo e l’osservazione degli incrementi di afflusso sanguigno e del ritiro dello stesso, dimostrò in maniera scientifica l’evidenza di questa connessione. Per comprendere meglio il concetto psicosomatico, bisogna comprendere il significato di “simbolo”. Simbolo deriva dal verbo greco , gettare insieme e dunque connettere, comporre. Spiega Roberto Carnevali nel suo : “Se pensiamo a nessi di ordine analogico che possono collegare fra loro eventi corporei e psichici, vediamo una prima possibilità di utilizzo del simbolo, che in questa accezione, nel campo della psicosomatica, consiste nella ricerca di un elemento unificato che, in una prospettiva olistica, permetta di connettere fra di loro una costellazione di sintomi e di manifestazioni trovando il senso che li accomuna.” Un termine usato nella medicina ufficiale “somatizzare”, cioè un attrito psichico che trova espressione attraverso il corpo, può ad esempio, far pensare che la visione psicosomatica olistica sia già accettata normalmente, non è così. In una visione olistica il termine appropriato è “sincronicità” (Jung), un collegamento tra fatti psichici e fatti corporei in ordine analogico, esprimenti simultaneamente dei contenuti espressi dallo stesso simbolo. La visione medica orientale è il precursore della visione olistica psicosomatica; afferma da secoli ciò che la psiconeuroimmunologia occidentale è oggi in grado di dimostrare. il pensiero, il sistema nervoso e le nostre difese immunitarie sono indissolubilmente legati. Per la visione medica orientale non esiste nessun divario tra la vita spirituale, emotiva e fisica, tutte le malattie sono di origine psicosomatica, non c’è nessuna differenza tra la nostra vita psichica e quella organica, entrambe soggiacciono agli stessi vincoli. Le nostre emozioni hanno una dimensione biologica. Per avere una visione olistica dell’uomo non lo si può estrapolare dal suo contesto socio-culturale. Noi occidentali dobbiamo elaborare una medicina olistica adatta a noi e ritrovare quei collegamenti che la psicanalisi ha riscoperto negli ultimi 50 anni, con i nostri archetipi occidentali ed i nostri simboli, utilizzando anche quello straordinario serbatoio di conoscenza che è l’oriente, per aiutare veramente l’umanità del 2000.
La malattia
Il nostro corpo è perfetto, è fatto per durare moltissimo, ed è talmente organizzato che ci comunica sempre, attraverso una varietà infinita di segnali, se c’è bisogno di un correttore. Diceva un famoso medico dell’antichità, Filostene di Locra (IV secolo a.c.): “Ricordatevi che la vita dei mammiferi è pari a sei volte il tempo del loro sviluppo. Se consideriamo che l’uomo impiega circa 20 anni per maturare il suo sviluppo corporeo, dobbiamo dire che il suo ciclo vitale medio dovrebbe aggirarsi sui centoventi anni…… Moriamo prima perché non siamo stati capaci di vivere, o meglio perché ci siamo svincolati in modo irresponsabile da quelle leggi naturali che ci avrebbero guidati attraverso il tempo, facendoci conoscere quello che era utile e quello che era dannoso al nostro organismo”. La consapevolezza è fondamentale, imparare ad ascoltare i segnali del corpo, a comprendere il loro significato, è già guarigione. Noi tutti siamo nemici delle malattie, dovremmo invece essere grati all’esistenza per questo segnale. Il vero significato della malattia è darci un avvertimento. E’ il sintomo che deve essere compreso subito, per impedire che l’avvertimento venga sottolineato con più forza. Noi non ci ascoltiamo, non ci osserviamo, pensiamo di essere eterni, immortali e che tutto ci sia dovuto. Siamo talmente in disequilibrio che dobbiamo soggiacere alle esigenze di un centro di coscienza, in realtà molto limitato, la mente. La mente spesso ci porta a non ascoltare, a non prestare attenzione e se l’urlo del corpo diventa più forte ci spaventiamo, non accettiamo il sintomo, lo vogliamo far sparire al più presto, perché non c’è tempo, c’è sempre qualcosa di più importante da fare. E allora lo reprimiamo senza ascoltare, con i mezzi più svariati, dalla medicina ufficiale a quella alternativa, l’importante è stare bene in fretta, per poter tornare alle nostre importanti occupazioni. Cerchiamo di cambiare punto di vista, come quando osserviamo un quadro: la tela e i colori sono le componenti fisiche che danno la possibilità all’artista di esprimere un’idea. Sono un mezzo per rendere l’espressione fisica di un contenuto metafisico. Cominciamo ad osservare malattia e guarigione in termini di lettura. Dice G. Groddeck , uno straordinario osservatore dell’inconscio (o ES, come lui lo chiama): “… non c’è una differenza fondamentale tra il sano e il malato, è che dipende dall’arbitrio di ogni medico e di ogni paziente definire o no patologiche determinate cose. E’ proprio necessario che il medico tenga presente questo principio, altrimenti egli finirà per perdersi sull’impervio sentiero del voler guarire, e questo è un fatale errore, dato che, in ultima analisi, è l’ES che guarisce, mentre il medico si limita a curare.”) Nel nostro corpo spesso si vengono a disegnare le cristallizzazioni di quello che noi gettiamo nell’inconscio senza averlo ascoltato e metabolizzato. Abbiamo così due stati. Quello di malattia, che si esplica attraverso il sintomo come “segnale di allarme, il quale indica che qualcosa di essenziale nell’atteggiamento cosciente non quadra o è insufficiente” (Jung) o come ingorgo energetico nel flusso vibratorio che può palesarsi, sia sotto l’aspetto somatico, che sotto l’aspetto psichico. L’altro stato è quello di salute, quando tutte le funzioni del nostro essere interagiscono e fluiscono in modo armonico e c’è uno stato di equilibrio. Secondo una visione energetica olistica, il disturbo, che può anche essere un fattore esterno, viene sempre riflesso nella coscienza a livello informativo e si proietta nel corpo. Come il reale è solo uno schermo di proiezione per le immagini della realtà mentale virtuale, così il corpo ci rimanda, in ultima analisi, quello che è un nostro disequilibrio a livello di coscienza. E’ importante di nuovo sottolineare la differenza tra malattia e sintomo, perché questa comprensione è la strada per cambiare atteggiamento. Il sintomo non è un nemico da combattere, da cancellare, è invece un prezioso indicatore per aiutarci a ritrovare il nostro equilibrio, correggendo il nostro cammino. Un cammino che deve essere visto in maniera più totale, verso la nostra evoluzione interiore e la realizzazione. La malattia è un grande maestro e ha per scopo la nostra guarigione.
La prevenzione
Abbiamo visto la differenza tra la visione della medicina ufficiale e quella delle medicine cosiddette alternative, il significato di malattia e sintomo. Ora parliamo della prevenzione.
In Cina dicevano che un buon medico era quello che manteneva tutti i suoi pazienti sani e per questo veniva pagato. L’agopuntura è usata ancora oggi a titolo preventivo dal medico cinese, mentre dagli occidentali è usata a scopo curativo. Nel concetto di prevenzione, rientra anche la comprensione di quei sintomi (segnali) che ci danno l’indicazione per mantenerci nella giusta rotta. Quindi è certamente meglio prevenire che curare e la prima grande prevenzione è la consapevolezza, a tutti i livelli, il volersi bene, darsi amore, il comprendersi. Ovviamente parlare di prevenzione significa parlare anche di alimentazione, di ambiente, di come ci rapportiamo con gli altri e con noi stessi.
Tutto questo nelle dinamiche della nostra società può essere estremamente complicato, abbiamo un tipo di vita che ci allontana molto da una conduzione naturale della nostra esistenza. Mai come in questa epoca l’essere umano è stressato e allontanato dal suo centro. Tutti comunque sono d’accordo sulla prevenzione, è ovvio che un essere umano ben nutrito, non stressato, in perfetta armonia con quello che lo circonda avrà più difficoltà ad ammalarsi.
Dopo Pasteur è prevalsa la concezione di una condizione di malattia come risultato di aggressioni microbiche. E’ però dimostrato che un uomo con un buon equilibrio generale difficilmente viene contagiato. Se noi esprimiamo all’esterno la nostra energia negativa, ad esempio quando siamo in una situazione di stress, creiamo spesso le condizioni perché ci capitino dei guai e degli incidenti. Quando viviamo in maniera passiva le emozioni non esternandole ci reprimiamo e spingiamo verso l’inconscio conflitti emotivi irrisolti, questi conflitti vengono in qualche maniera sedimentati nel nostro complesso psicofisico creando le condizioni per la malattia.
Tutto questo può portare alla depressione del nostro sistema immunitario, con le conseguenze che potete immaginare. Gli antichi ad esempio davano indicazioni molto precise sulla prevenzione; dicevano: ” I dispiaceri sono il pane dei nefasti, e quando gli uomini si cibano di questo pane vengono inesorabilmente colpiti dalla discrasia”. Ippocrate diceva: “La vita è breve e l’occasione fuggente” e Orazio “carpe diem” (cogli il giorno). Se volete rimanere sani e felici vivete nel qui ed ora. Noi siamo troppo spesso da un altra parte, non con noi stessi, siamo tesi, in condizione di stress, il nostro problema è il futuro. “L’individuo è nevrotico”, dice Lowen, e noi siamo tutti nevrotici perché apparteniamo a questa civiltà occidentale che dà come valori predominanti il potere e il progresso. Questo porta l’uomo ad essere in conflitto con se stesso, con i suoi desideri di realizzazione. Si cerca sempre di diventare “qualcuno”, nessuno è a proprio agio con se stesso così com’è. L’essere non viene accettato, vi è una negazione e la creazione di un modello da emulare.
L’individuo moderno è tenuto ad avere successo, non ad essere una persona. L’attrito provocato da questa continua tensione crea energia negativa che come il mitico serpente Uroboros si morde la coda crea un circolo vizioso e si autoalimenta. Ovviamente questa condizione ci tiene continuamente proiettati nel passato o nel futuro. Vivere nel “qui ed ora”, nel presente, allenta immediatamente la tensione. Rompere questo circolo vizioso non è facile. Siamo come ipnotizzati senza via d’uscita. In questa condizione non siamo assolutamente in grado di sfruttare le nostre potenzialità, che, in quanto personali, sono uniche e probabilmente superiori a quello che la mente vuole riprodurre seguendo dei modelli. Molte persone avvertono il fallimento dentro di sé, l’angoscia, la disperazione. Sono appena solleticate da un blando velo di motivazioni e cercano una soluzione senza fermarsi ad ascoltare per assumersi la responsabilità di entrare nel proprio senso di vuoto, e ritrovare la gioia, la realizzazione. Ecco perché gli inutili manualetti su come migliorare se stessi o modificare la situazione in cui viviamo sono così popolari, purtroppo però portano inevitabilmente ad aggiungere fallimento a fallimento perché non viene toccata la radice del problema. Non è con un libro che si cresce, dobbiamo ritrovare unità, consapevolezza. Uscire da questo sonno che ci riproduce continuamente lo stesso sogno. Ciò vuol dire vedere, rischiare e riscoprire l’universo meraviglioso e privo di sicurezze che l’esistenza ci propone. In questa impresa abbiamo spesso bisogno di aiuto.
La nostra presa di coscienza, la nostra crescita dell’ autoconsapevolezza, porterà a creare attorno a noi le condizioni perché anche altri divengano più consapevoli. Di nuovo la saggezza dell’antichità, pensate cosa si diceva nel II secolo d.C. “L’amarezza dell’animo è un terreno adatto per seminare la discrasia….. le grandi afflizioni portano sempre alle grandi malattie”. Questo troverebbe conferma nelle ipotesi della formazione dei tumori del dottor Hamer, che postula l’inizio dell’anarchia cellulare in un conflitto emotivo che non si riesce a vivere consapevolmente.