La morte

Nel pensiero più sottile di certe antiche tradizioni, la morte non è mai un puro annullamento, bensì un processo di mutamento: ciò che appare come scomparsa è, in realtà, un passaggio. L’involucro fisico si dissolve, ma può perdurare – in forme più sottili – un’essenza che trattiene frammenti di memoria e coscienza. Questo nucleo sopravvive come un filo che cuce le diverse esistenze in un’unica tela, seguendo leggi di sincronicità più complesse e pervasive di qualunque semplice causalità.

Nel tessuto delle antiche dottrine vediche, l’accento è posto sulla consapevolezza e sulla cura del principio vitale, spesso chiamato nefesh in altre tradizioni: un nocciolo che raccoglie la dimensione interiore e la tiene in risonanza con il flusso universale. Alimentare questo nucleo profondo significa, da un lato, aprirsi alla percezione autentica di sé, dall’altro, custodire una memoria che non si limita al registro individuale ma attinge a un sapere più vasto. È proprio qui che si attivano le sincronie, i segnali che collegano i diversi piani dell’esistenza: fisico, mentale, spirituale.

L’idea di reincarnazione, allora, non è un semplice tornare al mondo in un corpo nuovo, ma un partecipare ciclico e consapevole a un cosmo vivente, dove il ricordo invisibile di ciò che è stato trova le giuste corrispondenze con ciò che sarà. Ogni esistenza si intreccia con quelle passate e con quelle future, in un equilibrio regolato dalla continuità della coscienza e dalla legge di affinità tra i singoli frammenti dell’essere.

Nelle pratiche quotidiane, come la meditazione e il rito, la tradizione vedica più antica raccomanda di saper “dare da mangiare” a questa essenza, nutrendola con l’attenzione costante ai gesti, agli stati interiori, alla sacralità del respiro. È così che la consapevolezza si dilata e include spazi di memoria latenti, un bacino sommerso pronto ad emergere nel momento opportuno. Tali memorie profonde non sono soltanto un bagaglio nostalgico; piuttosto, costituiscono il materiale vivo di cui si nutrono le sincronie, rendendo la vita un palcoscenico dove l’istante presente e l’eternità si sfiorano di continuo.

È così che la morte, sottratta alla percezione di uno svanire definitivo, diventa un movimento costante, una trasformazione che rinnova in permanenza il senso dell’essere. Persino la paura può allora trasfigurarsi in uno stupore sacro: quello di chi scorge, dietro il velo del tempo lineare, un arazzo intessuto di leggi e risonanze, mutevoli e armoniche insieme, dove ogni filo narrativo è destinato a riannodarsi in un ordito più ampio. In questo ordito, il destino di ciascuno si salda al Tutto, e la morte non è che uno dei suoi alfabeti segreti.

Sauro Tronconi

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