Sarsat era il grande Maestro della città di Balusengad. Egli aveva molti allievi, ma sempre il giusto numero perché ognuno fosse seguito nel modo appropriato.
Si racconta che Sarsat insegnasse loro, fin da fanciulli, l’arte del contemplare. Sapeva far entrare dentro di loro il silenzio, la quiete, sapeva farli essere attivi nel prepararsi il cibo o nel raccogliere la legna, ma anche altrettanto vivi nel sedersi fermi davanti alle acque del Grande Fiume e guardare per ore il loro scorrere.
Quando essi però raggiungevano il diciottesimo anno di età, egli faceva loro compiere una serie di prove che duravano un intera luna. Pochi comprendevano il senso di queste prove, tanto che molti di loro si allontanavano prima di compierle, pensando che negli insegnamenti avuti fino a quel momento essi potevano, comunque, trovare la realizzazione della loro esistenza.
Sarsat faceva trascorrere ai suoi discepoli quattro notti dormendo in un giaciglio strettissimo a grande distanza dal suolo sulle rive del Grande Fiume. Molti, impauriti, alla prima o alla seconda notte si scoraggiavano anche perché il sonno li coglieva, ma si sentivano insicuri ad abbandonarsi ad esso. Per altre quattro notti dovevano giacere vicini ad una donna ignuda, dopo essersi votati al non amplesso. E anche se per un motivo ben diverso dalle notti precedenti, non potevano dormire tranquillamente. Ancora quattro notti erano spese nel dormire in una grotta, dove al di là di un esile steccato vi era una fiera pericolosa, e anche lì quasi nessuno riusciva a dormire per il timore di essere divorato. Le quattro notti successive erano dedicate alla contemplazione delle acque del grande fiume, in equilibrio precario, in modo che se un allievo veniva preso dal sonno, cadeva con un tonfo nell’acqua.
Poi seguivano quattro giorni di riposo intervallato da una campanella che suonava ogni ventotto respiri. Poi le prime quattro prove venivano di nuovo ripetute, si tornava al giaciglio troppo alto e troppo stretto, poi all’inquietudine per la vicinanza del corpo femminile, poi alla paura di essere divorati e infine alla contemplazione delle acque.
Molti allievi pensarono quanto fosse stupido seguire ciecamente quegli insegnamenti, altri furono unicamente spinti dal desiderio di dimostrare la loro preparazione. Alcuni lo fecero semplicemente, riponendo fiducia in un uomo che aveva dato loro tanto.
A termine del percorso, sotto una grande luna piena il Maestro Sarsat attendeva quei pochi che erano riusciti a portare a termine le prove, e li scioglieva da lui. Era il suo ultimo insegnamento e con queste parole egli li lasciava: “Avete camminato, a fianco con la morte, ne avete avuto paura e questo vi ha tenuto svegli, talmente svegli da farvi essere attenti attimo dopo attimo, momento dopo momento, nulla vi era permesso nel distrarvi troppo, sarebbe stato pericoloso. Pensate a quale grande opportunità è per voi la morte… Senza di essa forse il sonno sarebbe sopraggiunto”.
Comprendi, o mio Re, ciò che questo Maestro insegnava ai suoi allievi. A volte occorre che anche tu un poco usi questa saggezza con alcuni dei tuoi sudditi, forse non interpreteranno questo come un grande regalo all’inizio, ma potrebbe essergli di grande utilità nella loro vita.
A volte occorre qualcuno che ti faccia sentire che la morte ti cammina vicina, per farti stare sveglio. Per fare in modo che il sonno non ti colga ad ogni attimo e i tuoi pensieri non si perdano in lontani miraggi.
La mente si insinuerà nei loro pensieri e cercherà di farli desistere, facendoli sentire stupidi; qualche momento di sonno arriverà, qualche pensiero ripetitivo si insinuerà.
Ma far sentire che la morte è vicino a loro è far loro sentire di essere svegli. Vivi e presenti. Non esiste paura che non sia paura della morte: la paura di perdere qualcuno, la paura di far morire una parte di se stessi, la paura di cedere all’istinto animale che è paura di far morire la propria scelta. Ma vedere la propria paura è indispensabile, senza cedere ad essa la paura della morte ti permette di essere sveglio e, quando la morte arriverà ti troverà vivo.
Rifletti su questo, o mio Re.