Arkàda era nata in una famiglia non certo ricca, ma nemmeno troppo povera poiché non aveva molti figli da sfamare e poteva loro dare qualcosa in più.
Fin da bambina, aveva imparato a scambiare il sorriso della sua bella bocca con qualcosa di buono da mangiare, i suoi abbracci con le carezze; nulla dava di sé senza trarre qualcosa in cambio. E visto le sue belle fattezze e il suo volto leggiadro otteneva quasi sempre ciò che celatamente chiedeva.
Ella crebbe ambiziosa, anche nel suo incedere tutto mostrava questa ambizione di sé, gli occhi mai guardavano verso il basso, ma addirittura sopra gli occhi delle persone che incrociava, il portamento eretto e le spalle indietro facevano sembrare i suoi seni più grandi e più sostenuti, cosa ammirata dagli uomini.
Si convinse così di non essere solo bella, ma pur anco intelligente. E dall’alto della sua bellezza e della sua intelligenza poteva aspirare ad un marito non solo bello, ma anche ricco e di alto rango.
Quell’astuzia, da lei considerata intelligenza, fece sì che quando al villaggio arrivavano ricchi mercanti, magari anche giovani, o notabili che di lì passavano per recarsi ad altre città, Arkàda li guardava e faceva mostra di sé pur senza mai essere troppo evidente, poiché l’uomo desidera di più ciò che resta un po’ celato e misterioso.
E così qualcuno iniziò a chiederla in moglie, ma non era troppo bello, non era abbastanza ricco, ma non era troppo allegro, viveva troppo lontano. C’era sempre qualcosa che non andava e poteva essere migliore. Il tempo passò fra dubbi e desiderio di qualcosa di più, ma oramai non era più così giovane, e, avendo ormai passato i ventiquattro anni e non potendo più aspirare a un marito altrettanto giovane, a malincuore, rimpiangendo i molti passati che non aveva accettato, decise di cercare quello più ricco e basta. Dopo una luna era già tristemente maritata.
Trascorso un anno nacque un figlio e pur cercando di averne altri non vi riuscì, con grande rammarico del suo sposo.
Quando il bambino crebbe confortato da tutti gli agi possibili in quell’epoca, cominciò a mostrarsi scostante ad ogni richiesta.
Voleva sempre di più ed ogni cosa che faceva chiedeva in cambio qualcosa di più grande. Il padre così a lungo assente per mantenere i suoi affari, non aiutava Arkàda nel crescerlo e la donna si sentiva smarrita e sempre più triste.
Un giorno, nel quale la servitù era stata mandata al mercato per trasportare grandi provviste per una festa, Arkàda chiese al figlio di andare alla fonte in giardino a prende una brocca d’acqua. Il bambino rispose: “Vado, ma tu cosa mi dai in cambio?”. Presa dalla rabbia a quella richiesta che sempre e sempre si ripeteva da quei vispi occhi che la indispettivano, alzò la mano e la fece cadere sul volto del figlio lasciandogli il segno di tutte le dita. Il bimbo se ne andò piangendo.
Lei, rattristata, pentita per il gesto e umiliata nel non aver potuto evitarlo, corse fuori dalla casa piangendo. Correva e piangeva, come se quei passi veloci avessero potuto allontanarla dalla sua vita. Il vento faceva scendere veloci le lacrime e le asciugava.
Arrivò sulle rive del Grande Fiume stremata nel corpo e nello spirito. Si lavò il volto appiccicoso nelle acque, si specchiò. Vide il suo bel volto, gli stessi occhi scuri e vispi di suo figlio. Quegli occhi che avevano caparbiamente voluto avere tutto, quegli occhi astuti, quello sguardo che si mostrava solo per ottenere. Li chiuse e ascoltò il suo cuore, quella felicità che non era arrivata. La sua astuzia, il suo fingere, non erano stati indice di intelligenza, aveva solo fatto del male a se stessa.
Si accorse che anche suo figlio non sarebbe stato felice, pianse ancora… pianse ancora… e pianse ancora, ma ormai nulla poteva più essere fatto.
Ricorda o mio Re l’astuzia non è indice di intelligenza. L’astuzia volta al possesso e al dominio sugli altri spesso ti si ritorce contro come un’infida serpe; non puoi vendere te stesso; in cambio di cosa, poi? Quando avrai venduto te stesso per un pugno di denari e avrai trovato un compagno che non vuoi, degli amici che non vuoi, un amore che non vuoi, ti accorgerai che i tuoi figli saranno infelici some tu sei, perché è ciò che hai loro trasmesso, tutto ti scivolerà fra le mani come la fine sabbia del deserto. Un grande dolore ti coglierà, ma forse non potrai farci più nulla.