La paura della morte è un sentimento profondo e universale che ha influenzato l’umanità sin dall’inizio dei tempi. Questo timore spinge molte persone a cercare modi per perpetuare la propria esistenza, spesso inconsciamente. Come perfette macchine biologiche, costruiamo l’idea di una continuità attraverso la specie — tramite la procreazione — o attraverso l’estensione del proprio ego e personalità, desiderando lasciare un’impronta indelebile nel mondo per sconfiggere la mortalità.
Nel contesto attuale, caratterizzato da confusione e da una reinterpretazione delle antiche saggezze, le grandi lezioni del passato vengono spesso travisate. La spinta verso la vita insegnata da maestri come Gesù viene fraintesa e talvolta piegata a fini ideologici, perdendo così il suo significato originale. In questo processo, si è smarrita la distinzione fondamentale tra morte e oblio. La morte è un evento naturale e inevitabile che fa parte della continuità della vita, un passaggio che tutti attraversiamo. L’oblio, invece, rappresenta la dissoluzione nel vuoto, la completa scomparsa della memoria e dell’essenza di un individuo.
Le antiche tradizioni spirituali sottolineavano che la continuità oltre la morte non è garantita automaticamente. È durante la vita che si costruisce questa continuità, ma non attraverso l’accumulo di realizzazioni egoiche o il desiderio di lasciare un’eredità materiale. Al contrario, queste saggezze insegnano l’importanza di abbandonare l’identificazione con l’ego. Liberandosi dell’ego, si può accedere alla “coscienza testimone”, una dimensione più profonda del Sé che osserva senza attaccamento.
Questo processo di disidentificazione dall’ego permette di sviluppare un nucleo interiore resistente e continuativo. La “coscienza testimone” non è soggetta alle stesse leggi della nascita e della morte che governano il corpo fisico e la mente egoica. È attraverso la connessione con questa parte più profonda di noi stessi che possiamo trascendere la paura della morte e comprendere la nostra vera natura.
In un’epoca in cui le distrazioni sono innumerevoli e l’attenzione è spesso rivolta all’esterno, ritornare a questa saggezza interiore diventa ancora più fondamentale. Non si tratta di negare la realtà della morte, ma di riconoscere che la vera continuità non si ottiene attraverso l’accumulo di successi esterni o il tentativo di immortalare il proprio ego. Piuttosto, si tratta di realizzare la natura impermanente di tutte le cose e di trovare nel Sé profondo quella dimensione eterna e immutabile.
Abbandonando l’identificazione con l’ego e coltivando la consapevolezza della “coscienza testimone”, possiamo scoprire una forma di continuità che trascende la vita fisica.
Sauro Tronconi