Certamente uno dei grandi pericoli della capacità di fare, della forza di agire è nella relazione dell’uomo con il proprio ego. Se la nostra azione esiste solo per affermare o supportare l’identificazione con la nostra personalità frontale e rafforzarla oppure se essa accetta il rischio del cambiamento continuo dell’esistenza, compreso della nostra identificazione con ciò che siamo o che gli altri ci chiedono di essere. Nel primo aspetto la nostra azione sarà quasi sempre diretta alla ricerca del potere sugli altri, alla ricerca dell’approvazione, del riconoscimento e del successo. Nel secondo caso, l’azione pur partendo da ciò che siamo sarà una continua interazione con l’esterno che arricchisce reciprocamente. Questo non esclude certamente approvazione e successo, ma se il nostro riconoscere noi stessi non dipende unicamente dall’esterno avremo più stabilità e ci rafforzeremo maggiormente.
E’ anche certo che per fare, per fare buone cose, è necessaria la forza e il potere, sarebbe però il momento di cominciare a pensare ad un potere che non sia solo quello della spada o della sopraffazione. Un potere che divenga capacità concreta di agire.
Possiamo allora chiederci quanto la nostra personalità frontale e la nostra apparenza possano essere per noi uno strumento utile oppure una fonte di schiavitù. Per fare un esempio: se avere un aspetto gradevole ci serve come mezzo per esprimere al meglio ciò che siamo, nel lavoro o negli affetti ha un senso per migliorare la nostra vita. Se l’aspetto gradevole diventa il fine ultimo a cui sacrificare tutto o ci serve solo come strumento di paragone per emergere nei confronti degli altri, o per dominare le persone con le quali ci relazioniamo, appena qualcosa non va nella direzione delle nostre illusioni alimentiamo frustrazione e involuzione.
Per dare un senso reale a noi stessi e porci al centro della nostra vita, non al centro di quella altrui, l’ego deve essere semplicemente lo strumento, la piattaforma che ci serve per agire nel mondo e per differenziarci da tutto ciò che ci circonda, che ci serve per distinguere e distillare le nostre esperienze in relazione a ciò che accade.
Una cosa quindi è l’inevitabile processo egoico come piattaforma di partenza e l’altra l’essere completamente assorbiti in una specie di forza centripeta che riconduce ogni cosa all’immagine interiore che abbiamo di noi stessi.
Quindi non è possibile un azione senza ego, ma è possibile confinare l’ego attraverso il buon senso e la scelta di condivisione, attraverso la comprensione del mondo e degli altri, attraverso i processi empatici ed emozionali, con il concreto sviluppo dell’intelligenza.