Vivere il tempo della propria vita senza aver paura di avere spazio per essere, per esistere.
E’ incredibile come ciò che tutti cercano, in realtà per i più sia spaventoso e desolante, come se l’assenza del tempo dedicato all’efficienza del fare non fosse tempo degno di essere vissuto, poiché anche lo svago oramai è efficienza nel divertirsi.
Perché è proprio questo ciò che accade quasi per caduta libera a tutti noi, ci siamo assuefatti al ritmo delle informazioni che si susseguono, delle storie e delle emozioni che si sommano, delle interpretazioni della storia, del revisionismo continuo di ogni aspetto del passato e di ogni previsione per il futuro, così da non comprendere il “sano “ cambiamento, ma ottundere ogni cosa in una nebbia indistinta da cui non può emergere più nulla poiché tutto è sovraesposto.
Questo ritmo in realtà non riempie, ma chiude, ostruisce, ingolfa; dà la sensazione di un tempo scandito da ritmi solidificati dalle immagini che si susseguono, mentre è illusione dell’illusione. E quando manca l’illusione, manca il contatto, vero o falso che sia, con il mondo, producendo insicurezza, apparente perdita di quelle informazioni che possono guidarti nel cambiamento.
Così molte persone oggi hanno paura di avere tempo, di avere spazio; hanno paura di esistere oltre ciò che devono fare o che devono essere, poiché non possono essere semplicemente ciò che sono.
Anche il tempo libero diviene un problema: se non viene messo a profitto ci sentiamo in colpa poiché perdiamo tempo, sprechiamo tempo.
Vogliamo stare senza far nulla idealmente, pensando che questo sia riposo, sia staccare la spina, ma in realtà per molti è impossibile, lo spazio deve essere per forza riempito di qualcosa e se proprio non è possibile alcunché allora si cerca l’oblio, l’assenza. Assenza a volte indotta da dipendenze che non devono per forza essere chimiche, anzi potremmo dire che per la maggior parte sono psicologiche. Si sviluppano così nuove e più attuali dipendenze, poiché anche il flusso costante di notizie può divenire per alcuni anestesia e dipendenza ed anche l’apparente sicurezza di un tranquillizzante pensiero comune, riempie quel vuoto.
Ma tutti noi, se solo lo vogliamo, cominceremo a renderci conto di come buttiamo la nostra esistenza reale nel vortice delle illusioni, correndo il rischio di non incontrare il mondo se non per sentito dire, correndo il rischio di riempire ogni spazio ed ogni tempo con la frenesia della paura della fine del nostro tempo e della nostra esistenza. Ognuno di noi può fare un piccolo passo per sentire in sé quello spazio. Non è sempre facile, indeboliti da decenni di assuefazione può sembrare impossibile. Ma forse serve solo sentire di volersi ancora bene di rispettarsi per ciò che si è.
Quando ritroviamo noi stessi in silenzio, ci accorgiamo che il tempo diviene da tempo “perso” a tempo “ritrovato”. Se abbiamo il coraggio di staccare per un poco l’identificazione automatica con il mondo, scopriamo facilmente quello spazio di silenzio e attenzione che ci permette davvero di incontrare il mondo.
Un mondo che non può essere immobile perché noi esigiamo spazio, che non si ferma in relazione alle nostre esigenze, ma che non può nemmeno essere quel continuo vortice che ci estrae da noi stessi lasciando vuota la nostra essenza.
Ritrovare questo spazio interiore prevede attenzione a se stessi, poiché non è esercizio di efficienza, bensì di presenza; in quello stare, in quel permanere che rappresenta da sempre il fulcro dell’essere umano, la distinzione dalla bestia che deve agire freneticamente e automaticamente in conformità al suo istinto.
Un silenzio che possiamo esercitare in mezzo al rumore del mondo ed anche in mezzo al rumore che i nostri pensieri fanno in relazione al mondo. Quello spazio e quel silenzio interiori che, unici, possono fare da contraltare ad una realtà del mondo ancora tutta da scoprire.